(testo e foto tratti dagli articoli: “Preti a pedali. La difficile vita di Don Camillo” – di Alfredo Azzini - Biciclette d’Epoca – n. 48 - novembre/dicembre 2020 – Sprea Editori - https://sprea.it/ e da “La Bicicletta del Prete” – Pedalando nella Storia - del 26/02/2021 – F&V Editori)
Il celebre film “Don Camillo” (1952 – regia di Julien Duvier), ispirato ai personaggi presenti nei racconti di Giovannino Guareschi, oltre a fornire un’indimenticabile “spaccato” della vita quotidiana del dopo guerra nei territori emiliani lungo il fiume Po, offre lo spunto per alcune particolari riflessioni. Vediamo di cosa si tratta. Nel film si assiste alla scena di un’accesa discussione tra il prevosto (Don Camillo) e alcuni avventori di un bar che lo irridono per l’uso della bicicletta da corsa, apostrofandolo come un “prete da corsa” o un “Bartali”.
Tale scenetta, in un primo momento, potrebbe apparire solo comica, ma non è così.
Oltre ad essere molto realistica, infatti, vi sono particolari significati che derivano da circostanze storiche venutasi a creare in quegli anni, che cerchiamo, adesso, di scoprire. Sino alla fine del XIX secolo, infatti, l’utilizzo della bicicletta agli ecclesiastici venne sconsigliato per questioni estetiche, dovute, in particolare, alla sconvenienza dell’immagine che il prete forniva pedalando con la veste al vento.
La questione venne, poi, affrontata con differenti visioni. La bicicletta, infatti, avendo un forte valore simbolico legato alla modernità e al cambiamento non era universalmente accettata né da parte delle autorità (ecclesiastiche) né da una rilevante parte dell’opinione pubblica, ancora avversa alle due ruote. Fu Monsignor Giuseppe Sarto, vescovo della Diocesi di Mantova e futuro Papa Pio X, ad affermare che l’utilizzo del velocipede non era consentito al clero “in quanto cosa che lo avvicina alle abitudini dei secolari attribuendo al prete vanità e leggerezza”. All’iniziale proibizione per motivi estetici, subentrarono, quindi, motivazioni di carattere morale, dovute all’avversione alla modernità, ritenuta come un elemento di perdizione dell’uomo. Anche la Congregazione del Concilio, organo della Curia romana cui spettava il compito di vigilare sull’applicazione e osservanza della disciplina del Clero, stabilì il divieto dell’uso del velocipede al pari dei divieti relativi alla frequentazione di osterie e teatri, o alla pratica del gioco d’azzardo. Veniva fatta eccezione solo per i casi in cui il prete dovesse somministrare d’urgenza l’estrema unzione, stabilendo, però, che, in caso di uscita notturna,
l’uso del velocipede era consentito solo se accompagnato da un altro confratello.
Nel 1894, il vescovo di Cremona - Monsignor Geremia Bonomelli - si espresse, invece, a sostegno dei preti in bicicletta difendendone l’utilizzo per poter esercitare il ministero nelle ampie parrocchie del territorio della sua diocesi. Nel 1897 venne, poi, pubblicato sulla “Rassegna Nazionale” dai Cattolici liberali un importante articolo che evidenziava le forti discrepanze sull’argomento nei paesi cristiani nel mondo. In particolare, si rilevava come negli Stati Uniti, non solo fosse consentito l’utilizzo della bicicletta da parte dei preti ma, addirittura, fosse stato fondato un “Clerical Cycle Club”, al contrario dell’Italia ove era proprio il piccolo clero ad essere penalizzato non potendo disporre dei mezzi di locomozione degli alti prelati.
Si giunse, quindi, agli anni antecedenti la Grande Guerra quando divennero sempre più numerosi i preti “disobbedienti” che utilizzarono la bicicletta. Nel 1912, si registrò una posizione di apertura all’utilizzo della bici da parte di Monsignore Giacomo Della Chiesa, arcivescovo di Bologna e futuro Papa Benedetto XV, evidenziando come il divieto all’utilizzo del velocipede avesse perso quella valenza nella battaglia “antimodernista” degli anni precedenti. Non vennero, però, formulate espressioni ufficiali di palese consenso all’uso favorendo l’instaurarsi – nelle varie Diocesi - di una serie di norme di difficile comprensione e attuazione.
Nel 1920 nella Diocesi di Padova, e poi in quella di Milano, venne introdotta una tessera che consentiva l’utilizzo della bicicletta solo per i preti di campagna “purché non se ne protragga l’uso oltre l’ora dell’Ave Maria”. Solo dalla metà degli anni ‘50 l’utilizzo quotidiano della bicicletta da parte del personale ecclesiastico divenne assodato, proprio in concomitanza con la nuova era di motorizzazione diffusa che muterà radicalmente le modalità di trasporto nel nostro Paese.
In merito alle caratteristiche delle biciclette, sin dalla fine del XIX secolo, onde superare le questioni di carattere estetico, erano state immesse sul mercato particolari modelli, denominate bicicletta “levita” o “bici del prete”.
Di fatto biciclette con telaio da donna, passo tipico delle bici da uomo, ruote da 28 pollici e pedivelle corte e basse in modo che il movimento delle gambe fosse minimo e permettesse al personale ecclesiastico di poter pedalare con il massimo contegno. Risultava impossibile, quindi, per un ecclesiastico utilizzare una bicicletta da uomo o, tanto meno, una bici da corsa su strada.
Ritornando, quindi, all’episodio del film, ecco come sia – ora - possibile comprendere appieno le motivazioni della veemente reazione di Don Camillo, quando lo Stesso viene deriso da persone presenti in un bar mentre passa sulla sua bici da corsa (Stucchi). Don Camillo, infatti, non si altera per futili motivazioni ma vuole difendere, con fermezza, il suo diritto ad andare in bicicletta conquistato dopo tanti anni di divieti, al punto di rovesciare sui poveri avventori dell’osteria che l’avevano beffeggiato l’intero contenuto del tavolo. (Video: https://www.youtube.com/watch?v=7-pe7XXZgoY)
Alessandro,
ciclista e appassionato ricercatore di fatti e curiosità!
Un grazie speciale a Sprea Editori - https://sprea.it/ per la gentilezza.
Testo e foto tratti dagli articoli: “Preti a pedali. La difficile vita di Don Camillo” – di Alfredo Azzini - Biciclette d’Epoca – n. 48 - novembre/dicembre 2020 – Sprea Editori - https://sprea.it/ e da “La Bicicletta del Prete” – Pedalando nella Storia - del 26/02/2021 – F&V Editori
コメント